Lascia che ti sogni, Nazareth…

Lascia che ti sogni, Nazareth…

Un anno fa, a quest’ora, eravamo nel pieno della quarantena…riproponiamo una breve riflessione del nostro don , legata proprio alla Solennità che oggi la Chiesa intera celebra: l’Annunciazione della beata vergine Maria. Buona festa!

“Carissimi parrocchiani, lettori di questa nostra agenda ed amici di queste nostre realtà,
nei giorni scorsi – e precisamente martedì 24 marzo – sarei dovuto partire per un pellegrinaggio insieme ai fedeli delle comunità di Pedavena e del Sovramontino.

La destinazione richiama nei cuori di molti di noi una sorta di “stupita nostalgia” oppure una curiosità che potrà essere appagata soltanto quando si vivrà un tempo di cammino prolungato lungo le strade di Palestina. Ad altri ancora, la delusione nell’avvicinare i luoghi santi oppure la perplessità e l’amarezza di fronte a ciò che lì, proprio dove il Verbo si è fatto carne – vi sia una commistione inspiegabile degli aspetti più dirompenti e devastanti dell’essere umano: un continuo clima di ostilità reciproca, frequenti occasioni di scontri, l’incomprensibile volontà di prevaricazione che sfocia in attacchi di ogni forma ed ogni tipo, fino a quell’abominevole muro. Che si staglia in tutta la sua devastante imponenza (pur essendo composto da tanti “pannelli” in cemento più alti che larghi) a dividere i territori israeliani da quelli palestinesi…

Avremmo avuto il dono unico di poter pregare nella Basilica dell’Annunciazione – lì a Nazareth – nel giorno in cui la Chiesa celebra con intimo giubilo proprio…l’Annunciazione, il 25 marzo. E’ uno dei luoghi dove, celebrare, significa far risuonare corde intime e profonde della nostra fede.

Lo sguardo muove oltre la bellezza dell’architettura moderna che può piacere come no, ma anche oltre i resti bizantini (quarto secolo, circa) a delimitare quello spazio umano dove l’eterno si è affacciato sulla trepidante disponibilità di una ragazza.

Vivere la Messa in quel luogo, significa sperimentare un “oggi” di Dio capace di rinnovarsi e di rinnovarci, è far affiorare le attese nei confronti delle promesse di Dio, quasi anche la volontà di mettere in gioco la nostra stessa relazione con Lui: fino a che punto tu, che dici di essere fedele all’uomo, sei capace di esserlo? E fino e che punto sei talmente tanto capace di un amore quasi cieco da coinvolgere anche me nel tuo annuncio del Regno, lasciandoti alle spalle con smemoratezza divina le mie fragilità ed inadempienze?

Lì a Nazareth, più che altrove, il pellegrino non cerca conferme al proprio credo, bensì i suoi tratti più autentici. Lì la fede lascia affiorare le domande più profonde ed il desiderio più autentico di Dio. E basta. Lì i religiosi francescani della Custodia, nella fedele preghiera dell’Angelus (che ricorda, appunto, la disponibilità della ragazza di Nazareth all’agire stupefacente di Dio) strattonano con la loro preghiera l’uomo verso il Mistero di Dio. Senza lasciarti scampo.

Non puoi uscire da quel luogo senza avere il cuore in subbuglio, privo di domande inespresse.

Lasciata la basilica, il cammino del pellegrino si sposta poco accanto e le guide capaci ed innamorate di Dio conducono l’uomo di oggi a degli scavi.

Entrando, si fa un balzo a Nazareth…quella di ieri: vera, autentica, perché squisitamente feriale. Grotte adibite ad abitazioni richiamano l’aridità del luogo e la straordinaria capacità del Maestro ivi cresciuto di parlare all’uomo di allora con le categorie che egli conosceva, nei luoghi che egli viveva. Ma guarda un po’, questo nostro Dio: continua a raggiungere l’essere umano lì dove egli vive, anziché attirarlo nelle “alte sfere” mistiche, che correrebbero il rischio di divenire incomprensibili, se non addirittura spaventarlo. Che stile, il Suo: umanamente a volte rasenta l’assurdità, eppure divinamente straordinario.

Mi tornano spesso alla mente le parole del nostro conterraneo di Forno di Canale divenuto vescovo – mons. Albino Luciani – che tornando al paese natio con quelle che si definiscono le “insegne episcopali” per celebrare un solenne pontificale, il 04 gennaio 1959, ebbe a dire: “Sto pensando in questi giorni che con me il Signore attua il suo vecchio sistema: prende i piccoli dal fango della strada e li mette in alto, prende la gente dai campi, dalle reti del mare, dal lago e ne fa degli apostoli. È il suo vecchio sistema. Certe cose il Signore non le vuole scrivere né sul bronzo, né sul marmo, ma addirittura nella polvere, affinché se la scrittura resta, non scompaginata, non dispersa dal vento, sia ben chiaro, che tutto è opera e tutto merito del solo Signore”.

E’ il “vecchio sistema” elaborato proprio lì, nell’umile villaggio di Galilea, alle prese con una ragazza che – immagino – stesse vivendo di sogni e desideri come qualsiasi altra sua coetanea.

Un sistema che sconvolge l’esistenza, ma che dona un cuore in festa.

Sistema che scombina qualsiasi piano umano, donando al cuore un tonfo di meravigliato stupore. Sistema che fa perdere di lucidità, per entrare a piè pari nella fantasia di Dio.

Forse è proprio vero: la mia Nazareth di quest’anno non è lì, nella sognata Terra Santa.

Ma qui: dove la nostra ferialità – in questo tempo ancor di più – ha bisogno di intravvedere la rassicurante Provvidenza di Dio oltre le angoscianti notizie che attanagliano il cuore e smorzano il fiato.

Cari, carissimi tutti, vi benedico e ricordiamoci a vicenda!”

 

Con affetto sincero, don Fabiano