Profili dei Santi Patroni

L’esperienza di fede delle nostre comunità è legata all’intercessione dei santi Patroni che i nostri avi hanno individuato quali mediatori fra l’umanità presente su questo nostro territorio e Cristo maestro.

Ve li presentiamo con sguardo di chi, come in famiglia, presenta ad amici persone particolarmente care e significativa per il loro cammino di ogni giorno.

Parrocchia di Rivamonte

San Floriano di Lorch

Patrono principale tra i tre Santi cui è dedicata la Parrocchia di Rivamonte, Floriano di Lorch riferisce al periodo iniziale della storia della Chiesa, quando ancora il cristianesimo era ad uno stato embrionale e si cercavano proseliti negli ambienti più disparati come, nel suo caso, l’esercito romano.
Tradizionalmente, ogni potere nella storia si è appoggiato all’esercito per mantenere il controllo, e lo stesso avvenne nel tardo impero romano: il martirologio cristiano ci consegna numerosi modelli di santi che proprio dalla loro professione delle armi avevano maturato un senso di stanchezza e disgusto per la violenza, per essere strumento di morte, di soprusi, di prepotenze. Uno di questi fu Floriano, che secondo la tradizione agiografica era un soldato romano di stanza nel Norico (l’attuale Austria) impegnato nella difesa del confine settentrionale dell’impero. Secondo quanto tramanda la Passio Sancti Floriani, Floriano era un veterano dell’esercito che ricopriva la carica di princeps offici a Cetia, l’odierna Kirchdorf an der Krems in Austria. Qui praticava in segreto la religione cristiana, in un contesto politico di rigida persecuzione anticristiana portata avanti dall’imperatore Diocleziano.

Nel 304 d.C., durante il periodo di repressione di questa nuova religione non ufficiale, Floriano venne a conoscenza dell’arresto avvenuto a Lauriacum (l’odierna Lorch, un sobborgo di Enns, in Austria) di quaranta suoi correligionari. Volendo condividerne la sorte, Floriano li raggiunse in città e si consegnò ad un gruppo di sui ex commilitoni confessando la sua fede. Portato davanti al governatore Aquilino venne interrogato, fatto torturare e infine gettato nel fiume Anesius (oggi Enns) con una macina di pietra legata al collo. Sempre le righe della Passio raccontano come il suo corpo fu tratto dal fiume dalla matrona Valeria e sepolto nell’area in cui i vescovi di Passavia fecero erigere l’abbazia di Sankt Florian dei Canonici Regolari della Congregazione Lateranense Austriaca, uno degli esempi più spettacolari del barocco austriaco. Nel 1138 le sue reliquie furono traslate a Roma ed inviate da papa Lucio III presso il duca Casimiro II in Polonia, il quale fece costruire nell’occasione la chiesa barocca di San Floriano.

Il culto del santo si diffuse così capillarmente in Polonia che ne è attualmente il patrono. Floriano è venerato anche come patrono dell’Austria Superiore ed è invocato contro i danni del fuoco e dell’acqua e come patrono dei pompieri, grazie ad un miracolo compiuto quando era ancora in vita.
A Rivamonte il culto di San Floriano ha radici antiche: al santo era dedicata una chiesetta costruita probabilmente intorno al ‘400, demolita nel 1866 circa quando il curato di Riva, don Giovanni Battista Moretti, commissionò al Segusini l’edificazione dell’attuale chiesa parrocchiale.
La parrocchiale di Rivamonte vede il santo raffigurato principalmente dietro l’altar maggiore (del periodo dell’adeguamento – 1972), nella tela che abbellisce l’altare ligneo entrando e destra del Tommaso Da Rin, con una statua marmorea collocata a decorazione dell’altare delle anime ed una pregevole statua lignea di recente realizzazione da parte di un artigiano del legno di Ren di Tiser, Paolo Ren.La tradizione iconografica rappresenta San Floriano vestito da soldato con un attributo principale, una macina da mulino, simbolo del suo martirio, e, talvolta, con del fuoco nei paraggi, chiaro riferimento al miracolo da lui compiuto. La festa si celebra il 4 maggio.

L'opera più recente in onore di S. Floriano da Lorch presente nella chiesa parrocchiale di Riva

Sant’Antonio di Padova

Sant’Antonio di Padova, dottore della Chiesa e co-patrono della chiesa parrocchiale di Rivamonte, nacque a Lisbona il 15 agosto 1195. La sua vocazione lo portò fin da subito all’ordine religioso: dal 1210, a 15 anni, fu un Canonico Regolare di Santa Croce prima nell’Abbazia di San Vincenzo a Lisbona e poi nell’abbazia di Coimbra, allora capitale del Portogallo. In seguito, affascinato dalla figura di San Francesco d’Assisi e dal tragico epilogo di una missione di conversione in Marocco in cui avevano trovato la morte i santi Berardo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto, definiti Protomartiri francescani, entrò a far parte, nel 1220, dell’ordine dei frati minori. La sua adesione a questo ordine nascente lo portò a compiere numerosi spostamenti: nel 1221, dopo un naufragio nelle acque del Mediterraneo ed un fortuito approdo alle coste siciliane, si recò a piedi al Capitolo Generale ad Assisi per conoscere ed ascoltare gli insegnamenti di Francesco. Notato dal governatore dei frati della Romagna, padre Graziano, Antonio fu inviato all’eremo di Montepaolo di Dovadola, nei pressi di Forlì.

Dopo un anno di lavori umili, preghiera e penitenza, gli fu dato l’incarico della predicazione nei villaggi e nelle città della Romagna e della Lombardia, dove cambiò radicalmente il volto del francescanesimo con discorsi ponderati e ispirati contro alcune correnti considerate eretiche: il movimento dei Catari, i cristiani ortodossi, i patarini lombardi. I talenti che seppe mettere al servizio di Dio lo portarono a diventare, tra il 1227 e il 1230, Ministro provinciale, ossia guida delle comunità francescane, di tutto il Nord Italia. Questo incarico lo costrinse a viaggiare di continuo tra i molteplici conventi della regione: tra tutte predilesse la città di Padova e la piccola comunità di Santa Maria Mater Domini. Assieme alla sua fama di predicatore crebbe anche quella di taumaturgo.

Nella città di Padova Antonio trascorse due periodi significativi: il primo fra il 1229 e il 1230 e il secondo fra il 1230 e il 1231. Durante il secondo soggiorno morì precocemente nel convento di Arcella. La sua santità non tardò ad essere riconosciuta dalla Chiesa: solo undici mesi dopo la sua morte papa Gregorio IX lo proclamò Santo. La comunità cristiana di Rivamonte e, forse più correttamente, tutte le comunità dell’agordino, guardano ad Antonio come a uno dei santi più cari e pregati: la tradizione ci tramanda la ben nota guarigione di un sordomuto ad opera del Santo avvenuta a Riva il 18 settembre1696, evento che portò alla costruzione della seconda chiesetta di Riva nel.

L’unione delle due chiese nell’attuale parrocchiale non ha dimenticato il Santo taumaturgo, a cui sono dedicati due altari laterali: l’altare di legno originale che racchiude un pregevole dipinto di Piero Liberi, proveniente direttamente dalla vecchia chiesetta, e un altare di dimensioni maggiori impreziosito dalla statua lignea dell’artista Valentino Panciera Besarel. La festa di Sant’Antonio, celebrata il 13 giugno, giorno della sua morte, per gli abitanti di Rivamonte era la festa della ricomposizione delle famiglie: per essa tornavano al paese gli uomini e le donne emigrati per cause di lavoro e nell’occasione lunghe processioni di fedeli giungevano dai paesi vicini e dalle vallate limitrofe. La tradizione iconografica rappresenta Sant’Antonio vestito del saio francescano con il Bambin Gesù in braccio, attributo principale, e alcuni attributi secondari: un libro, un giglio, un crocefisso o del pane, simboli di differenti aspetti della sua figura di santo.

L'immagine votiva di S. Antonio esposto nel giorno della festa
L'immagine votiva di S. Antonio esposto nel giorno della festa

Parrocchia di Tiser

San Bartolomeo Apostolo

San Bartolomeo fu uno dei 12 Apostoli che seguirono Gesù. Le notizie relative alla sua identità provengono dai Vangeli: era originario di Cana, in Galilea, ma la data della sua nascita, così come quella di morte (che, probabilmente, fu circa nel 68 d.C.) è incerta. Lo stesso suo nome porta con sé delle incongruenze: nei Vangeli sinottici viene riportato come Bartolomeo mentre nel Vangelo di Giovanni è indicato con il nome di Natanaele, ammesso che si accetti l’identificazione tra i due personaggi, fatto su cui non vi è completo accordo tra i moderni biblisti. La tesi più accreditata considera Natanaele il nome proprio dell’Apostolo, Bartolomeo il patronimico con significato di “Figlio di Tolomeo”.

Quasi all’inizio il Vangelo di Giovanni indica Bartolomeo come amico dell’Apostolo Filippo che gli parlò del Cristo indicandolo come “[…] colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti”. I paragrafi che raccontano della conoscenza del Cristo racchiudono l’immediatezza e la totalità della sua conversione a Lui: l’essere raggiunto nei suoi pensieri più intimi provocò in Bartolomeo un’immediata dichiarazione di fede: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele”. Altre notizie in merito alla figura dell’Apostolo provengono dai vangeli apocrifi: il Vangelo arabo dell’infanzia, un testo scritto tra il V e il XIII secolo in arabo e in siriaco che racconta l’infanzia di Gesù, riporta il racconto di un bambino gravemente malato,

Natanaele Bartolmai, che venne adagiato nella culla del Bambin Gesù per essere curato. L’Apostolo Bartolomeo viene poi indicato tra coloro che Cristo mandò a predicare e nella lista degli Apostoli presenti dopo la resurrezione (At 1,13). Dopo la Pentecoste le notizie relative a Bartolomeo non hanno fondamenti bibliografici. La tradizione racconta che egli sarebbe andato in India e in Armenia a predicare il vangelo; qui convertì alla fede cristiana il re Polimio e sua moglie, ma venne martirizzato dal fratello Astiage, per decapitazione o crocifissione dopo che fu scuoiato vivo. Le sorti delle sue spoglie sono altrettanto fumose: poiché correva voce che facesse prodigi, il suo corpo fu gettato in mare e raggiunse Lipari nel 264. Le reliquie subirono una serie di spostamenti fino a giungere a Benevento nel IX secolo, dove sono conservate sotto l’altar maggiore del Duomo. La tradizione iconografica rappresenta San Bartolomeo Apostolo con un coltello in mano e la sua pelle drappeggiata come un manto. La festa si celebra il 24 agosto.

Chiesa parrocchiale di Tiser: statua di S. Bartolomeo
Chiesa parrocchiale di Tiser: statua di S. Bartolomeo

San Rocco

La figura di S. Rocco è molto nota e venerata, tuttavia le fonti bibliografiche che trattano della sua vita sono frammentarie e, in alcuni casi, contraddittorie. Le date tradizionali relative alla sua vita tramandate dalla tradizione (1295-1327) hanno subito correzioni legate a studi recenti. Secondo la nuova versione, dunque, Rocco di Montpellier nacque da una nobile famiglia a Montpellier, in Francia, tra il 1345 e il 1350.

Rimasto orfano ventenne, con un gesto francescano donò i suoi beni ai poveri e, vestito da pellegrino, andò in pellegrinaggio a Roma. Attraversare l’Italia a piedi fu per Rocco un’impresa difficile: in quel periodo infieriva in Europa una terribile epidemia di peste e lui, in varie città ma in particolare ad Acquapendente (1367), curò gli ammalati e operò dei prodigi di cristiana carità, avviando così la sua fama di taumaturgo. La Vita Sancti Rochi (1479) tramanda che la sua opera di misericordia lo portò a Roma, dove in modo miracoloso curò tra gli altri il cardinale Anglico Grimoard, fratello di papa Urbano V, a Rimini, Novara, Cesena e Piacenza, dove si fermò durante il viaggio di ritorno a Montpellier presumibilmente nel 1371. Nella città di Piacenza, Rocco proseguì con ardore la sua opera di cura e conforto, fino al punto di ammalarsi di peste lui stesso: scacciato dalla città si rifugiò morente in un bosco vicino Sarmato, in una capanna nei pressi del fiume Trebbia.

Le antiche agiografie narrano come un cane provvide quotidianamente a rifocillare il santo portandogli un pezzo di pane rubato dalla mensa del suo padrone, un signorotto identificato con il nobile Gottardo Pallastrelli. Dopo la guarigione San Rocco intraprese il viaggio di ritorno a Montpellier, che però si concluse in terra italiana con la sua morte prematura. Le fonti originarie, anche in questo caso, hanno subito la correzione di studi successivi: secondo la tradizione, Rocco sarebbe morto proprio a Montpellier oppure ad Angera sul Lago Maggiore. La realtà invece è diversa: durante il viaggio di ritorno fu arrestato come spia e condotto a Voghera (in provincia di Pavia) davanti al governatore, che lo fece arrestare. Dopo circa cinque anni di prigionia Rocco, vicino alla morte, volle incontrare un sacerdote: la pia tradizione vuole che, in punto di morte, egli ricevette da Dio il dono di essere l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome. La sua morte, avvenuta il 16 agosto in un anno tra il 1376 e il 1379, fu onorata e celebrata in modo solenne. Il culto di San Rocco nacque già attorno alla sua tomba, ma fu il Concilio di Costanza del 1414 ad innalzarlo agli onori degli altari. Gran parte del suo corpo è custodito dall’Arciconfraternita Scuola Grande di Venezia, anche se altre reliquie sono in possesso di santuari diversi. La tradizione iconografica vede il santo rappresentato con una piaga della peste sulla coscia, attributo principale, accompagnata da almeno un attributo secondario: il cane con del pane in bocca, un bastone, il vestito da pellegrino o, più raramente, un angelo. La festa si celebra il 16 agosto.

Chiesa parrocchiale di Tiser: statua di S. Rocco
Chiesa parrocchiale di Tiser: statua di S. Rocco

Parrocchia di Gosaldo

Beata Vergine Addolorata

Il titolo di Vergine Addolorata rappresenta un’apparente contraddizione al culto di alta venerazione dovuto a Maria e legato alle sue virtù, al suo patrocinio, alla sua posizione di creatura prediletta da Dio, al ruolo chiave svolto nella Redenzione e alla sua continua presenza accanto all’uomo. In realtà la venerazione di Maria come Mater dolorosa è un riconoscimento di come ella abbia fatto suo il martirio di Gesù, vivendolo e consumandosi attimo per attimo fino al momento estremo della croce. Le ragioni che hanno spinto i cristiani a venerarla con questo titolo fin dalla fine del secolo XI sono numerose: innanzitutto, a differenza di tutti i martiri cristiani, tiranneggiati da altri uomini attraverso strumenti di tortura, il martirio di Maria venne direttamente da Dio e si consumò nella sua anima portandole un dolore infinito, pari all’amore che ella provava per Cristo. Gli altri martiri, inoltre, patirono solo per il tempo in cui erano tiranneggiati, mentre Maria, che conosceva il destino di Cristo, patì il martirio per tutta la vita. Maria fu anche, in terra, colei che più si avvicinò alle virtù di Gesù: alcuni, tra cui San Girolamo, ritengono che tale prossimità della Vergine al Figlio indichi anche la sua vicinanza a lui nelle pene del martirio. San Bonaventura da Bagnoregio, francescano e grande cantore di Maria, arrivò a definire superiore il dolore della Vergine ai piedi della croce, concentrato in un’unica piaga nel cuore, al dolore dello stesso Cristo sulla croce, mitigato dalla dispersione delle piaghe sul suo corpo martoriato. Le speculazioni relative al martirio di Maria attraversano i secoli e riempiono le pagine di moti libri, tuttavia al cristiano deve bastare molto meno: la lancia che trafisse il Cristo già morto, come ci ricorda l’abate San Bernardo, ferì ancora più profondamente Maria, che lì, ai piedi della croce, non ebbe nemmeno la consolazione della morte del corpo. Il dolore, così straziante di una madre è sufficiente per ritenerla partecipe del martirio di Cristo e venerarla come Regina dei Martiri.

La devozione alla Beata Vergine Addolorata ebbe origine il 15 agosto 1233 a seguito di un evento miracoloso avvenuto a Firenze; fu, però, papa Pio VII ad introdurre la festa nel calendario liturgico romano, nel 1814. La venerazione della Mater dolorosa si diffuse con la celebrazione dei suoi sette dolori, enucleati dalla tradizione a partire dai Vangeli: la profezia su Gesù di Simeone, che le preannunciò che “[…]anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35); la fuga in Egitto della Sacra Famiglia (Mt 2, 13-21); la perdita di Gesù al tempio (Lc 2, 41-51); l’incontro con Gesù nella salita al Calvario (Lc 23, 27-31); Maria ai piedi della croce (Gv 19, 25-27); Maria che accoglie tra le braccia il corpo di Gesù (Mt 27, 55-61); Maria davanti al sepolcro nel momento della sepoltura di Gesù (Lc 23, 55-56).

La tradizione iconografica rappresenta la Vergine Addolorata in posizione di profonda disperazione, spesso con il viso solcato da lacrime di dolore; alle volte viene rappresentata con una o sette spade che le trafiggono il cuore, riferimento alla profezia di Simeone e ai sette dolori raccontati dai Vangeli. La festa si celebra il 15 settembre.

L'immagine votiva della B.V. nella chiesa parrocchiale di Gosaldo
L'immagine votiva della B.V. nella chiesa parrocchiale di Gosaldo

Parrocchia di Voltago

Santi Vittore e Corona

Le due figure di San Vittore e Santa Corona riferiscono ai primi anni di diffusione del cristianesimo (seconda metà del II secolo, secondo le fonti greche o III secolo, secondo il Martyrologium Romanum); visto l’alto numero di celebrazioni in vari calendari e martirologi antichi, latini, greci e copti, gli studi agiografici relativi alla loro storia sono stati complessi e non del tutto risolutivi. Secondo la tradizione, Vittore fu un legionario cristiano proveniente dalla Cilicia, una regione dell’antica Asia Minore, di stanza in Egitto negli anni in cui era imperatore Marco Aurelio (161-180). Durante un periodo di persecuzioni egli rifiutò di rinnegare la propria fede e fu perciò denunciato al tribunale del prefetto Sebastiano che, nel 168 o nel 171, lo condannò a morte dopo averlo sottoposto a torture disumane. Secondo studi recenti, S. Vittore venne sottoposto a una lunga serie di tormenti fisici molto dolorosi, durante i quali ebbe modo di ricevere il conforto della giovane moglie di un suo compagno d’armi, Corona. Il sostegno che ella diede a Vittore fu, probabilmente, la causa del suo arresto e del suo martirio: Corona venne legata a due palme piegate che, lasciate andare, la squartarono. Dopo un lungo periodo di torture, Vittore fu, invece, decapitato. La tradizione riporta notizie interessanti circa il passaggio delle reliquie dei due santi in territorio bellunese: sarebbero state portate a Feltre nel IX secolo dove, tra il 1096 e il 1101, fu eretto, sulla cima del monte Miesna, un santuario in loro onore. La devozione dei bellunesi ai Santi Vittore e Corona crebbe a tal punto che il 30 settembre 1986, dopo la nascita della nuova diocesi di Belluno-Feltre, diventarono patroni della Diocesi insieme a S. Martino.

La tradizione iconografica rappresenta i Santi Vittore e Corona con un ramo di palma in mano, simbolo del loro martirio, e una serie di attributi secondari. Nel martirologio romano la festa si celebra il 14 maggio.

Parrocchia di Frassenè

San Nicolò

San Nicolò o, più precisamente, San Nicola di Myra (o di Bari), è uno dei santi più amati e venerati della tradizione cristiana. Nicola nacque circa nel 260 a Patara, in Licia, un regione romana dell’odierna Turchia. Le notizie relative alla sua infanzia sono frammentarie, tramandate da un monaco greco dell’VIII secolo, Michele Archimandrita: figlio, forse, di Epifanio e Nonna, fin da molto piccolo si dimostrò vocato alla vita religiosa. Già da bambino egli comprendeva e praticava il digiuno settimanale, fissato dalla Chiesa per tutti i mercoledì e i venerdì; durante gli anni di crescita si dimostrò incline a molte virtù, prime fra tutte la carità e la castità. Queste due virtù sono alla base di un episodio molto noto della vita del santo, a cui svariati artisti si sono ispirati nelle rappresentazioni iconografiche: un uomo, caduto in miseria, avrebbe indotto le figlie a prostituirsi per racimolare quanto necessario per la dote. Nicola, a conoscenza dell’avvenimento, decise di intervenire: nottetempo portò delle monete d’oro a casa dell’uomo di nascosto, per evitare di essere riconosciuto; ripeté il gesto tre volte, permettendo così alle tre ragazze di avere un matrimonio decoroso.

L’elezione a vescovo di Nicola avvenne circa nel 300, una fase ancora iniziale della storia della Chiesa in cui le comunità cristiane godevano già di un’organizzazione embrionale, anche se la fede non era ancora accettata nell’Impero romano. Nonostante egli fosse ancora un laico, i vescovi delle città vicine a Myra lo vollero a capo della comunità cristiana della città: in pochi giorni egli ricevette gli ordini sacri, compreso il presbiterato, e venne consacrato vescovo di Myra. La persecuzione dell’imperatore Diocleziano colpì anche la città e il suo presule, tanto che Nicola venne imprigionato, probabilmente nel 305, e trascorse in carcere alcuni anni fino alla liberazione, che avvenne nel 313 da parte dell’Imperatore Costantino. Nel 325, a causa di uno scisma relativo al rapporto tra la natura di Cristo e di Dio Padre, si tenne a Nicea un Concilio Ecumenico, a cui Nicola partecipò attivamente dimostrando che la Trinità di persone (Padre, Figlio e Spirito Santo) non intaccava l’unicità di Dio nella sostanza. Nella stessa occasione Nicola si fece difensore dell’ortodossia, condannando l’arianesimo.

Le notizie tramandate dalla tradizione sul resto della vita apostolica di Nicola sono poche e dubbie: a lui sono attribuiti alcuni miracoli, di cui non esiste, però, una documentazione certa; sicuramente egli visse la sua missione di vescovo fino alla fine, dedicandosi in particolar modo all’esercizio della carità. La tradizione vuole che egli sia stato avvisato in sogno della sua morte, avvenuta nel Monastero di Sion, a Myra, il 6 dicembre 343. Il culto di San Nicola si diffuse già attorno alla sua tomba, dove le reliquie rimasero fino al 1087, anno in cui alcuni marinai le trafugarono per portarle a Bari, il giorno 8 maggio. Parte delle reliquie del santo sono state prelevate dai veneziani durante la prima crociata, e sono tutt’ora custodite nella Basilica di San Nicolò del Lido. La sua figura è stata talmente amata nel corso dei secoli al punto da essere variamente scristianizzata: con il dono della dote alle tre sorelle della tradizione, Nicola ha ispirato la figura del vecchio che porta doni ai bambini, Babbo Natale in Italia, Santa Claus nei paesi anglosassoni, Nikolaus in Germania.

La tradizione iconografica raffigura san Nicola in abiti vescovili, che sono il suo attributo principale. Per riconoscerlo tra gli altri santi vescovi, gli artisti lo caratterizzano con alcuni attributi secondari: tre sacchetti di monete o palle d’oro, in riferimento al suo noto atto caritatevole, oppure a cavallo vicino a un fanciullo. La festa si celebra il 6 dicembre.

L'immagine votiva di S. Nicola a Bari
L'immagine votiva di S. Nicola a Bari